Intolleranti a tavola: breve viaggio psicologico tra le intolleranze alimentari
Lo stimolo della fame costituisce, a partire dai primi vagiti del neonato, una delle pulsioni primarie da appagare. L’apporto delle sostanze nutritive è imprescindibile e l’alimentazione rappresenta un pilastro fondante per la salute psicofisica di ciascun individuo, in quanto in grado di garantirne la crescita e la sopravvivenza, così come lo sviluppo della personalità e dell’identità.
Lo stimolo della fame costituisce, a partire dai primi vagiti del neonato, una delle pulsioni primarie da appagare. L’apporto delle sostanze nutritive è imprescindibile e l’alimentazione rappresenta un pilastro fondante per la salute psicofisica di ciascun individuo, in quanto in grado di garantirne la crescita e la sopravvivenza, così come lo sviluppo della personalità e dell’identità. D’altronde, al di là dell’impulso della fame in se stesso, esistono numerosi fattori che regolano i nostri comportamenti alimentari. Questi, infatti, sono notevolmente condizionati dalle associazioni acquisite nel corso della prima infanzia, soprattutto in relazione allo spazio ed al tempo. Ad esempio, quando è ora di mangiare siamo condizionati a pensare che abbiamo fame a prescindere dall’effettivo stimolo della fame: abbiamo imparato ad associare i pasti ad un determinato orario. Inoltre anche l’aspetto sociale, conviviale dell’alimentarsi, per come inteso in ogni cultura, svolge una funzione imprescindibile nel definire luogo e momento in cui svolgere i pasti, trasformando una funzione nutritiva in un vero e proprio rito familiare e comunitario. Infine, gli stessi gusti alimentari si acquisiscono durante i primi anni di vita: le esperienze affettive collegate ai singoli cibi fanno sì che nella memoria alimentare di ognuno si fissino delle associazioni piuttosto stabili tra sapori e stati d’animo (ad es. una sgridata ricevuta perché il bambino non mangiava il prosciutto, può sviluppare in lui un’avversione per tale alimento). Le alterazioni o patologie di tipo alimentare possono alterare l’equilibrio psicofisico, personale e sociale di chi ne è affetto. Attualmente, si tende ad attribuire rilevanza ai disturbi alimentari di origine psicologica (anoressia e bulimia) relegando in secondo piano patologie biologiche come la celiachia e i vari tipi di intolleranze alimentari. In realtà, non sono certo da trascurare le problematiche psichiche implicate da una diagnosi che, seppur in assenza di grave una sintomatologia, turberà comunque il sistema alimentare fino quel momento consolidato. Non a caso, negli ultimi anni la diagnosi di celiachia (a differenza del passato, in cui veniva realizzata solamente nei casi conclamati, in cui le motivazioni ad una dieta alternativa erano forti sia per il paziente che per i familiari) è stata formulata sempre più spesso in soggetti totalmente asintomatici, che sono scarsamente motivati a modificare le proprie abitudini alimentari. Un mutamento dell’orizzonte alimentare, può determinare, in un individuo adulto, notevoli sofferenze mentali e somatiche che si ripercuotono in tutte la sfere della sua vita. I vissuti psicologici attivati dalla diagnosi di celiachia o intolleranze alimentari sono dominati da sentimenti d’ansia e di tristezza, mentre è la rabbia l’emozione che emerge in seguito, rispetto alla rigidità della dieta prescritta. Inoltre, senso di inadeguatezza, impotenza e sentimenti di diversità inducono a passività, rinuncia e di ritiro in se stessi, tanto da portare ad evitare cene, ristoranti ed uscite con amici. Al polo opposto, può prevalere un atteggiamento psicologico di negazione della malattia in chi assume condotte alimentari a rischio, trasgredendo ad un protocollo alimentare o riducendo l’osservanza della dieta. In generale, il soggetto adulto affetto da celiachia o intolleranza alimentare deve affrontare un grosso cambiamento della propria vita, costellato di abnegazioni e privazioni. Egli è costretto a modificare i propri schemi alimentari, ma anche cognitivi, sociali ed esistenziali: soprattutto da principio, egli si sente fragile, condizionato dalle restrizioni verso cui è ipersensibile, diverso dagli altri, solo, dominato da uno schiacciante senso di pessimismo che opprime tutta la sua vita quotidiana. Addirittura, si presentano casi in cui il soggetto soffre per la limitazione dietetica ancor più che per la malattia organica: quando la sofferenza assume proporzioni intollerabili, si evidenzia la necessità un supporto psicologico. Questo intervento mira a consentire, alla persona, di rintracciare in sé le risorse psichiche necessarie a superare il momento di crisi e l’ansia che ne deriva, gettando le fondamenta per una visione ottimistica della vita, nonostante i cambiamenti.